sabato 24 marzo 2012

La neve

C’era una volta un brillante inventore. Non chiedetemi il nome perché ogni volta che si prova a dargliene uno succede il finimondo. Noi lo chiameremo Inventore e non è detto che non avremo guai. In ogni caso, il nostro Inventore aveva avuto tantissime idee! Aveva immaginato il cielo e subito lo aveva realizzato. L’idea del sole gli era venuta subito dopo un brivido. La terra l’aveva inventata perché non sapeva dove piantare i suoi fiori. L’acqua, poi, era necessaria: il pesce rosso boccheggiava da un pezzo! Un giorno si rese conto di non avere abbastanza problemi e inventò l’Uomo. Era ottimista e volle fargli un regalo. Inventò per lui una cosa che chiamò “fantasia” e ci mise dentro un pezzetto del suo cuore. Si sedette sulla sua comoda poltrona e osservò l’Uomo che giocava con il suo regalo. Vide un bellissimo affresco e si commosse, una fantastica statua e pensò che non avrebbe saputo fare di meglio, ascoltò delle note deliziose e dei versi dolcissimi e sognò ad occhi aperti…poi vide una spada, un fucile, sentì il fragore delle bombe e si spaventò alla vista del mostruoso carro armato. Pianse, ma poi si ricordò di essere un ottimista! Cominciò a meditare e subito gli venne un’idea: la neve! Si mise all’opera e nascose tutto quell’orrore con un morbido strato di neve. Tutto era coperto da un enorme foglio bianco dove l’Uomo, con la sua fantasia, avrebbe potuto di nuovo immaginare la bellezza e realizzarla! Era davvero ottimista l’Inventore…
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venerdì 23 marzo 2012

Il bambino dalla fisarmonica magica - parte II


Le pareti erano bianche e anche il pavimento: era piena di niente. Ebbi paura.
“Dov’era finito il ragazzino con la fisarmonica?” Non riuscivo più a sentirlo! Girai per la stanza, toccai le pareti per capire se c’erano porte nascoste o botole: niente. Non riuscivo neanche a piangere. Ero prigioniero di tutto quel niente!
Pensai “se, quando ero piccolo, avessi avuto a disposizione tutte queste belle pareti bianche non avrei esitato a riempirle con le mie idee e con i miei pensieri! Ma i miei colori e le mie matite dov’erano? Non avevo nulla!”.
Appoggiai l’indice sulla parete e immaginai di disegnare un sole sorridente, proprio come facevo quando ero piccolino…Proseguii e immaginai di disegnare la vallata che avevo attraversato col ragazzino. La rividi: verde, luminosa e ne tracciai le dolci linee sulla parete. Proseguii e disegnai le rondini e le nuvole e gli alberi e i fiori e tutto quello che vedevo nella mia mente. Passai alla parete accanto come se l’altra fosse già piena e mi fermai un attimo
 “cos’altro potrei aggiungerci?” pensai. Ero completamente immerso nelle mie fantasie, quando all’improvviso qualcosa mi sfiorò il naso: un soffione! Mi voltai verso la parete dove avevo immaginato di disegnare e…la parete non c’era più! C’era la vallata con i fiori, gli alberi, il sole, le rondini! Ad un tratto vidi anche il sentiero che attraversava la vallata. C’era qualcuno sul sentiero che mi faceva cenno di muovermi. Indovinate un po’ chi era? Sì, proprio lui, il ragazzino con la fisarmonica! Mi misi a correre e lo raggiunsi. «Cosa ci facciamo qui? Cos’è successo?» chiesi ansimante.
«Che cosa è successo?» disse lui continuando a suonare una melodia fantastica.
«Ehi! L’ho chiesto io a te. Rispondimi!»
«Seguimi!»disse per tutta risposta.
Lo seguii e giungemmo alla casa senza mattoni. Iniziai a correre e lo lasciai sul sentiero. Volevo parlare col nonno. Lui sapeva tutto! Questo era certo. Entrai in casa e lo trovai seduto in poltrona. Mi sorrise e m’invitò a sedere.
«Nonno! Mi spieghi cosa è successo? Cosa significa tutto questo?» urlai.
 «Tutto questo? » chiese lui come se niente fosse.
 «Cosa ci fai qui? Perché questa casa non ha le pareti? Perché questi bambini ti portano i mattoni? » gli chiesi. Ero molto arrabbiato con lui. Non sopportavo che fosse complice d’altri bambini e che escludesse me: era mio nonno! Si alzò dalla poltrona, si avvicinò e mi abbracciò.
Poi mi disse: «Questa casa è la tua fantasia, piccolo mio, ed io ne sono il custode. Questi bambini rappresentano le tue idee, i tuoi pensieri, le tue invenzioni. Sai perché gli faccio portare via i mattoni?»
«No» fu l’unica cosa che riuscii a dire.
«I mattoni rappresentano i margini, i confini, i limiti che il mondo costruisce intorno alla tua splendida fantasia. Questi limiti si trasformeranno in chiusure, in pensieri negativi e ti impediranno di accogliere le cose belle che la realtà vorrà offrirti…» mi disse con dolcezza.
«E il bambino con la fisarmonica magica?» chiesi.
«Ma quale fisarmonica magica? L’unica cosa di magico che possiede quel bambino è la musica! E sai perché? Perché la musica è un linguaggio universale. Questa è la sua magia!» disse, accompagnando quella frase con una gran risata!
«E’ vero, nonno! Se parla senza suonare, io non capisco cosa dice! Invece quando si accompagna con la sua bellissima fisarmonica io lo comprendo perfettamente» risposi.
«Sì, bravo piccolino!»
«Perché mi hai fatto attraversare la caverna, il precipizio, la porta chiusa e la stanza vuota?» chiesi inquieto. «Per farti capire che insieme alle cose belle arriveranno anche gli ostacoli e difficoltà, ma tu potrai superarli con la tua intelligenza e la tua immaginazione. Non hai bisogno di strumenti magici: la mente è il tuo strumento. Dentro di te c’è tutto ciò di cui avrai bisogno!» rispose sorridendo e carezzandomi i capelli.
«Ora torniamo a casa, nonno?»
«Ah ah ah! Hai ragione. Tra un po’ riparte la funicolare! Dobbiamo proprio muoverci!»

Dopo tanti anni il nonno si trasferì nella casa senza pareti. Ogni volta che voglio vado a trovarlo e lui mi accoglie sempre sorridente…
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Il bambino dalla fisarmonica magica - parte I

Tanti anni fa, quando ero ancora un bambino, il mio caro nonno mi portava in funicolare tutte le mattine. Un bel giorno salì un ragazzino con una vecchissima giacca verde. Sulle spalle portava una fisarmonica rossa. I fantastici simboli dorati incisi sullo strumento mi fecero subito pensare che fosse magico.
Appena la funicolare partì, il ragazzino cominciò a suonare: le note erano dolcissime, ma quando volavano via lasciavano il cuore triste. Man mano che il bambino suonava mi accorgevo che la sua melodia era come una bacchetta magica che faceva sparire le pareti del vagone, i sedili, le persone. Anche il nonno era sparito! Mi ritrovai in una bellissima vallata attraversata da un sinuoso sentiero dove, camminando, il bambino continuava a suonare la sua prodigiosa fisarmonica, sicuro che lo seguissi. Camminai e ben presto mi ritrovai davanti ad una casa. C’era il tetto di tegole rosse, le finestre e le porte di legno verde, c’erano i pavimenti e i mobili, ma non c’erano le mura! "Che strano!" pensai.
Quando arrivammo, il bambino mi fece cenno di bussare. Bussai. Il portone si aprì e…
«Nonno!» esclamai.
 Mi abbracciò con un bellissimo sorriso, mi afferrò la mano e mi condusse nella casa senza mura. Il bambino ci seguiva suonando una splendida melodia.
«Cosa ci fai qui, nonno? » gli chiesi.
«Come cosa ci faccio? Non si vede? » rispose lui.
«Ehm…veramente no.»
«Sta’ attento!» borbottò e andò a sedersi su una grandissima sedia. Arrivarono altri bambini e saltellando gli mostrarono dei mattoni.
«Guarda! Ne abbiamo presi altri!»
«Bravissimi! Andate in cucina dopo aver fatto quello che sapete…» disse ammiccando.
 Mi avvicinai alla sedia e chiesi che senso avesse tutta quella faccenda. Lui continuò a borbottare qualcosa che io non capii.
 Il bambino con la fisarmonica mi fece cenno di seguirlo. Camminammo a lungo. Stavolta la melodia che usciva dalla fisarmonica era un po’ più triste. Arrivammo ad una caverna, entrando vidi che da lì cominciava una scala di pietra che scendeva nel sottosuolo. Scendemmo, mentre il bambino continuava a suonare. Improvvisamente la scala s’interruppe e ci trovammo di fronte ad un precipizio. Dall’altra parte del precipizio c’era una porta. Il bambino, continuando a suonare, mise un piede nel vuoto e camminò come se stesse camminando su una superficie invisibile. Tranquillamente mi fece cenno di seguirlo.
«Ehi! Ma come faccio? Torna subito qui!»
 Indietro non si poteva tornare. Tutto il percorso che avevamo fatto fino a quel momento, era come fissato in una fotografia e non poteva essere più ripetuto. Si poteva solo andare avanti, ma c’era il vuoto e poi la porta.
«Che cosa significa tutto questo? Come faccio? Non c’è una scala!» urlai.
 Il bambino si sedette accanto alla porta e si rimise a suonare una delle sue fantastiche melodie.
«Vuoi rispondere? Come hai fatto? Aiutami a passare!»
«Io ho suonato il mio strumento. Suona il tuo e passa...» disse seccato.
«Il mio? Quale?»
«Suona e passa…»
 Tremendamente arrabbiato mi sedetti sul bordo del precipizio e cominciai a piangere. Quando la disperazione mi lasciò il tempo per respirare, cominciai a guardare il precipizio. Come sarebbe stato bello se le mie lacrime si fossero trasformate in gradini. Ne avevo versate così tante! Piano piano dal fondo del precipizio cominciarono ad emergere… dei gradini! Erano trasparenti e scintillavano!
«Cosa… cosa sta succedendo?» gridai quasi spaventato.
«Oh! Finalmente. Te l’avevo detto di suonare e passare!»
«Ma io non ho suonato!»
«Sì, lo hai fatto. Muoviti che ho fretta!»
 Poggiai i piedi sui gradini e passai. Ero passato sulle mie lacrime, ma non avevo suonato un bel niente! Ci trovammo davanti alla porta. Naturalmente era chiusa. Io guardai il mio accompagnatore e lui, suonando, mi disse:
«Le porte sono fatte per essere aperte… Suona e passa!».
 Odiavo quel bambino! Quando parlava senza suonare si esprimeva in una lingua sconosciuta, solo se si accompagnava con la fisarmonica io riuscivo a capirlo. Suonò, la porta si aprì e lui passò. Io provai a passare con lui, ma ci sbattei il naso. Dall'altro lato sentivo quella cantilena accompagnata dalla musica “suona e passa…suona e passa…suona e passa”. Cominciai a prendere a calci la porta, ma mi feci solo un gran male! Indietro non potevo tornare. Fissai la porta. I pugni e i calci non l’avevano scalfita minimamente. Cominciai a fissarla e la disperazione cresceva. La sentivo nelle mani, nei piedi: era una forza reale! Sarebbe stato bello poter prendere la mia disperazione e farla diventare materia da plasmare: avrei potuto trasformarla in una chiave. Piano piano dalle mie mani e dai miei piedi uscirono dei filamenti di ferro che davanti a me formarono proprio una chiave. L’afferrai e aprii la porta! Non potevo crederci!
«Te l’avevo detto…suona e passa» esclamò il ragazzino.
 La porta si aprì in una stanza. Vuota… (continua qui)

giovedì 22 marzo 2012

La rosa

Tanto tempo fa, quando l’eternità faceva ancora carezze alla terra, c’era una rosa rossa. Regnava da millenni in un incantevole castello di fiocchi di neve posto su un’altissima montagna. La sala del trono era immensa e la luce si posava, lieve, su ogni cosa. Il soffitto era talmente trasparente da permettere al giorno e alla notte di entrare comodamente nel palazzo. Il pavimento, poi, era di un colore così bello che era un peccato poggiarvi i piedi! C’erano, inoltre, dodici finestre per permettere ai raggi del sole di coccolare, senza barriere, i delicati petali della Regina. Di fronte alle finestre c’erano dodici specchi. Di sera la sala s’illuminava con sette lampadari di cristallo. Il trono era un tralcio di fine madreperla. Era abitudine della Regina sedere, malinconica, rimirando negli specchi l’immagine della propria solitudine. Non era felice… Senza che lei se ne accorgesse, le sue pungenti spine impedivano agli altri di avvicinarsi . Nei suoi specchi leggeva la solitudine e non la meravigliosa grazia che la circondava. Dicevamo che la Regina era persa nella sua malinconia, quando un soffio di vento spalancò una delle finestre e scaraventò nel bel mezzo della sala un fantastico giglio. Quel giglio viveva la sua vita volando sui battiti del cuore del vento. Con il suo volare inquieto non sapeva o non voleva sapere quanto male faceva a chi lo amava. Non sapeva che ogni fiore ha un profumo che dimora nella reggia del ricordo. Credeva che il profumo dei fiori durasse il tempo di un volo e così fece molto male alla rosa nonostante le sue pungenti spine. Quella sofferenza provocò in lei un profondo cambiamento: volle guardare con più attenzione nello specchio e non vide più la solitudine, ma il sole che la vezzeggiava, il castello che la proteggeva, la luce che le illuminava la vita e si accorse di voler essere felice! Quelle spine che facevano tanto male a chi si avvicinava, divennero molto più delicate. Non aveva più bisogno di armi affilate per difendersi. La sofferenza si era trasformata in consapevolezza: era questa la sua vera arma adesso. Era la Regina del suo regno e volle visitarlo tutto. I secoli e i millenni non le bastarono più. Un giorno il giglio, pieno del suo niente, ritornò al castello e non trovò la rosa ad aspettarlo. Che strano! - esclamò e andò a cercarla. La trovò e quando le se avvicinò non erano più quelle stupide spine ad infastidirlo, ma la consapevolezza che lei esprimeva con tutto il suo essere. Fuggì via. La rosa era felice e così decise di lasciare aperta la porta del castello…
Avete nel cuore un profumo degno di abitare nella reggia del ricordo?
 Sì? Cosa aspettate?
Mettetevi in cammino…
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Lo scrigno

Tanti anni fa, quando tutto era possibile, cadde uno scrigno dal cielo. Sì, sì! Proprio uno scrigno! Era bellissimo. Cadendo dal cielo, però, si era tutto ammaccato e per molti anni era rimasto in un campo coprendosi di polvere e sporcizia. Tutti quelli che passavano, vedendolo così sporco e abbandonato, pensavano che fosse una cosa di poco valore e lo lasciavano lì. Un bel giorno passò un Principe (almeno io i Principi li ho sempre immaginati così). Ad ogni modo questo Principe era alto e imponente, avvolto in un lungo mantello che probabilmente era stato azzurro, ma che adesso era diventato nero. Anche il cavallo, a dire il vero, non era bianchissimo. Più che altro era cenerino, magari era solo sporco… Il Principe era molto curioso e fu attratto da quello strano oggetto. C’è da ricordare che il nostro Principe s’interessava a tutto quello che gli altri consideravano strano o diverso e, cosa incredibile, non credeva ai Principi! Si avvicinò allo scrigno e lo raccolse: era davvero pesante. Rimontò a cavallo e partì per tornare al suo castello. Ecco, anche sul castello ci sarebbe qualcosa da dire: non dovete aspettarvi un castello serio, minaccioso o ricco e sontuoso, no! Questo era il castello del nostro Principe (che forse era un principe), con il mantello azzurro (che era diventato nero) e un cavallo bianco (che tanto bianco non era). Cercate di capirmi: era un castello un po’…stravagante, ecco! Io ci sono stata e posso assicurarvi che si stava davvero bene: si ascoltavano splendide musiche, c’erano tanti amici e ognuno di loro aveva storie sbalorditive da raccontare! Il Principe, poi, aveva bandito dal suo castello quelle scatole magiche davanti alle quali tutti s’ipnotizzavano e non riuscivano più a pensare. Gli altri castelli ne erano pieni! Finalmente dopo una lunga cavalcata, il Principe giunse a casa e, smontato da cavallo, salì nella sua stanza. Non vedeva l’ora di aprire lo scrigno e quando lo fece rimase senza fiato: dentro c’era un blocco di ghiaccio! Non chiedetemi come mai il ghiaccio non si fosse sciolto: non saprei cosa dirvi. So solo che quello era un proprio blocco di ghiaccio! Il Principe, incredulo, ripose il blocco nella sua custodia e la chiuse. Cominciò a pulire lo scrigno, a riparare le ammaccature e più lo osservava, più lo trovava bello! Forse era magico. Forse non lo era. Ad ogni modo doveva prendersene cura. Lo aprì di nuovo e... meraviglia! Il ghiaccio non c’era più! Al suo posto dormiva una bellissima bambina. E adesso? Il Principe non sapeva cosa fare! La bimba si svegliò, lo guardò e, serenamente, gli tese le manine. Lui la prese in braccio e da quel momento si prese cura di lei. La bambina venne su bene: senza scatole magiche, senza principi azzurri, cavalli bianchi o castelli sfarzosi, ma con tanti amici che facevano viaggiare la sua fantasia tra racconti incredibili e musiche fantastiche. Forse in questo momento sarà in giro per il mondo con il suo scrigno pieno di fantasia, cure e attenzioni! E il Principe? Mah! Forse vivrà per sempre felice e contento…
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Il Re, il Mago e il Bambino

C'era una volta un Re
prigioniero del suo castello
vestiva fili di ragno
sognava cavalli di stagno.
Se questo Re incontri
ti può sembrare strano!
Sorridi e parla piano,
prova a dargli la mano.

C'era una volta un Mago
che dormiva sui raggi di luna
portava mantelli di bruma
e del latte beveva la schiuma.
Se questo Mago incontri
ti può sembrare strano!
Sorridi e parla piano,
prova a dargli la mano.

Ora c'è un Bambino
che gioca con le parole
offre alle rane viole
e le stelle vuole contare.
Se il Bambino incontri
non deve sembrarti strano
che sorrida e parli piano,
che provi a darti la mano...



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