martedì 9 ottobre 2012

Una storia per bambini svegli



Tanti anni fa in un paese molto lontano il popolo sceglieva il proprio re.
Una mattina, al suo risveglio, il popolo trovò sul trono un re che non aveva scelto.
Dato che il precedente re si comportava come il buffone di corte, i sudditi furono contenti di avere un re che sembrava una persona seria. Eh, sì!
Tutti felici ascoltarono le belle parole del nuovo re e nessuno chiese: – Chi l’ha scelto?
Parlava tanto bene lui! I re dei paesi vicini dissero: – Finalmente un re affidabile! Un persona seria!
Un bel giorno, però, i bambini andarono a scuola e non la trovarono più. Gli uomini andarono a lavoro e non c’era più niente. Le donne andarono al mercato e il mercato non c’era. Gli anziani andarono al parco ed era sparito anche quello!
Tutti tornarono a casa e ne trovarono solo una metà. Si sedettero su metà divano e accesero il televisore (un marchingegno stranissimo che ripeteva le parole del re e dei suoi consiglieri).
Sul primo canale c’era un consigliere che litigava con un altro consigliere che litigava con un altro consigliere che litigava con un altro consigliere. I sudditi, storditi da tutte quelle parole, cambiarono canale.
Sul secondo canale c’era un consigliere che fingeva di essere cattivo, arrivavano le guardie del re e fingevano di arrestarlo.
– Com’è giusto il nostro re! – dicevano i sudditi.
Sul terzo canale c’era il re in persona.
– Che persona per bene! – diceva il popolo.
Alla fine andarono a dormire e tutti fecero dei sogni a metà.
La mattina successiva si svegliarono, fecero colazione con mezzo cappuccino e mezzo cornetto e uscirono dalla mezza casa. Nessuno sapeva cosa fare.
Le donne si riunirono e dissero:
– Andiamo dal nostro saggio re! Lui saprà guidarci!
Si misero in cammino, ma all’improvviso arrivarono le guardie del re, le bastonarono e le trascinarono in prigione. Al telegiornale raccontarono che delle pericolose criminali avevano attentato alla vita del re.
Tutti quelli seduti sul mezzo divano dissero:
– Che vergogna! In che mondo viviamo? – E fecero un applauso alle guardie del re.
Alla fine andarono a dormire e tutti fecero dei sogni a metà.
La mattina successiva si svegliarono, fecero colazione con mezzo cappuccino e mezzo cornetto e uscirono dalla mezza casa. Nessuno sapeva cosa fare.
Gli uomini si riunirono e dissero:
– Andiamo dal nostro assennato re! Lui saprà aiutarci!
Si misero in cammino, ma all’improvviso arrivarono le guardie del re, li bastonarono e li portarono in prigione. Al telegiornale raccontarono che dei pericolosi delinquenti avevano attentato alla vita del re.
Tutti quelli seduti sul mezzo divano dissero:
– Bravi! Questi delinquenti vanno arrestati! – E fecero un applauso alle guardie del re.
Alla fine andarono a dormire e tutti fecero dei sogni a metà.
La mattina successiva si svegliarono, fecero colazione con mezzo cappuccino e mezzo cornetto e uscirono dalla mezza casa. Nessuno sapeva cosa fare.
Gli anziani si riunirono e dissero:
– Andiamo dal nostro cauto re! Lui saprà darci una mano!
Si misero in cammino, ma all’improvviso arrivarono le guardie del re, li bastonarono e li portarono in prigione. Al telegiornale raccontarono che dei pericolosi terroristi avevano attentato alla vita del re.
A casa c’erano solo i bambini che, stanchi di fare sogni a metà, afferrarono i televisori e li buttarono dalla finestra (i bambini sono intelligenti, si sa). Per le strade c’erano solo le guardie del re e tutte furono schiacciate dai pesanti televisori.
In tutta fretta poi i bambini corsero verso le prigioni e liberarono i reclusi. Un bimbo si fece avanti e disse:
– Mamma, papà!  Il nonno è un terrorista?
– No, mio caro! – dissero i genitori.
– Nonno! Mamma e papà sono delinquenti?
– No, tesoro! – disse il nonno.
– Allora perché avete lodato il re e le sue guardie? Perché non avete buttato via il televisore che trasmetteva soltanto sciocchezze e vi metteva l’uno contro l’altro?
Nessuno seppe rispondere.
Di comune accordo andarono tutti al palazzo del re e lo cacciarono via: senza guardie e senza televisori non aveva più potere! Si ripresero le mezze case, la scuola, la fabbrica, il mercato, il parco e…anche il mezzo cappuccino!
Era finita l’epoca dei sogni a metà.
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sabato 14 aprile 2012

Il re Olos: il drago e lo stregone


Ocouf era un drago buonissimo: non abbrustoliva mai nessuno! Beh, quasi mai…
Un bel giorno, passeggiando nel bosco s’imbatté in una bambina abbandonata e, non sapendo cosa fare, la portò da suo cugino, lo stregone Oiggas.
Ora non chiedetemi come fa uno stregone ad essere il cugino di un drago…
Conoscete uno stregone e un drago? Ah, sì? Allora chiedeteglielo e poi fatemelo sapere.
Torniamo al nostro drago. Portò la bambina da Oiggas e poi partì. Doveva raggiungere l’altissimo monte Odderf: era stato convocato dal gran drago Eroiggam. Ogni cento anni, infatti, tutti i draghi dell’universo si riunivano sui nevai perenni del monte Odderf per condividere le conoscenze acquisite.
Riuscite ad immaginare trecento draghi sulle nevi del monte Odderf? Un vero spettacolo!
Passarono gli anni e la bambina crebbe con lo stregone che l’accolse nell’Attorg Adnoforp e l’amò come una figlia. Le insegnò tutti i suoi incantesimi e le svelò quasi tutti i suoi segreti.
Eh, sì, ho detto “quasi” perché lo stregone non le aveva insegnato a vedere con l’erouc perché alla bambina non era stata rubata la vista.
Nel momento in cui era sceso dal monte Odderf, Ocouf era molto infreddolito, così decise di tornare subito a casa. Il tempo era volato…eppure erano passati 20 anni! Ocouf era molto felice perché aveva acquisito una capacità magnifica: usando il solo occhio sinistro per guardare un altro essere vivente poteva leggerne i pensieri più profondi.
Questa sì che era una notizia per il cugino Oiggas!
Quando Ocouf giunse all’Attorg Adnoforp  Eledurc era cresciuta ed era abile quasi quanto suo cugino.
Lo stregone non era in casa, ma stava per tornare.
Il drago approfittò dell’attesa per scrutare i pensieri della ragazza e quello che vide non gli piacque affatto! Vide che Eledurc concepiva pensieri molto cattivi. Non provava nessun affetto per il povero Oiggas. Il suo scopo era quello di diventare la strega più potente di tutte e il progetto prevedeva l’assassinio di Oiggas quando sarebbe arrivato il momento.
Ocouf fece finta di niente e attese l’arrivo del cugino.
Allorché arrivò lo stregone, Eledurc finse di lasciarli da soli, si nascose e ascoltò tutto quello che il drago raccontò ad Oiggas.
Quando lo stregone venne a sapere della nuova abilità del cugino, il suo cuore si riempì di gioia, ma quando scoprì la cattiveria di Eledurc un gran dolore gli avvolse la mente e gli occhi si riempirono di lacrime che scendendo sul viso e cadendo sul cuore lo gelarono!
Il povero drago non sapeva che fare e pensò bene di indirizzare il suo alito infuocato sul ghiaccio che imprigionava il cugino, quando Eledurc, approfittando della situazione, immobilizzò Ocouf con un potente incantesimo, gli cavò l’occhio sinistro e poi fuggì!
Il sangue del drago era bollente e cadendo sul ghiaccio che bloccava Oiggas lo sciolse.
Lo stregone, riavutosi, liberò suo cugino dall’incantesimo e curò la sua ferita. Ancora oggi il drago Ocouf va in giro con una benda sulla ferita provocata da Eledurc.
Dove scappò la strega? Chi era veramente Eledurc?
Questo lo racconterò la prossima volta…

Il re Olos: Lo sguardo oltre il mare


C’era una volta un re con la testa d’oro. Il suo nome era Olos ed era segnato sulla sua fronte come un ricamo su una stoffa preziosa.
I suoi occhi erano capaci di guardare oltre l’immenso mare. Riusciva a vedere cose lontanissime e remote. Olos era molto triste perché tutto ciò che vedeva non poteva condividerlo con nessuno. La gente non capiva e aveva paura…
Il mare era immenso e profondo, è vero, ma al di là dal mare c’erano terre magnifiche abitate da popoli benevoli e ospitali. Come sarebbe stato bello poter visitare quei luoghi pieni di splendore!
Un giorno il re si trovava sulla spiaggia e il suo sguardo si era spinto un po’ più lontano del solito, quando vide un essere che brillava di una luce straordinaria.
Lo sguardo del re incontrò quello di Asonimul, così si chiamava la fantastica creatura, e riuscirono a comunicare così, attraverso i loro sguardi. Il re seppe che secoli addietro le creature come Asonimul non erano rare, anzi ce n’era un intero popolo. Ora ne erano rimaste solo sette.
Il re chiese cosa fosse successo, ma Asonimul pianse tanto che i suoi occhi si appannarono e non poté comunicare più con Olos.
Il re divenne tristissimo e sempre più inquieto finché un bel giorno ebbe un’idea: costruire una nave per poter attraversare il mare e raggiungere Asonimul.
La nave doveva essere d’argento con vele di finissima seta. Nell’ordito delle vele dovevano essere intessute queste parole scritte nell’antica lingua oirartnoc-la:
Nos evan id er: osrevartta li eram
edno echifingam imetaicsal eradna
ortsom oniram non im eriref
art i ittulf idnoforp non ossop erirep
ocrec eud ihcco ehc onalevs li erouc
ocrec al annod ech anod eramo’l
Queste parole formavano l’incantesimo dello stregone Oiggas che viveva in una grotta isolata e tetra. Quel luogo nell’antica lingua si chiamava Attorg Adnoforp. La grotta, in realtà, era accessibile solo a coloro a cui era stata rubata la vista. Lo stregone Oiggas, dopo averli accolti nella sua dimora, insegnava loro a vedere con l’erouc, un antico strumento donato agli uomini dalla dea Ecirtaerc, ma che ormai nessuno sapeva più usare.
Occorsero tre mesi per costruire la nave. Il re era impaziente: doveva raggiungere Asonimul! Non era dello stesso parere la maga Eledurc che aspirava a diventare regina…Lei, grazie all’arefs conosceva tutti i pensieri di Olos! L’arefs era un gioiello magico dov’era incastonato l’occhio del drago Ocouf.
Come la maga Eledurc si fosse procurata l’occhio di Ocouf ve lo racconterò la prossima volta…
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sabato 24 marzo 2012

La neve

C’era una volta un brillante inventore. Non chiedetemi il nome perché ogni volta che si prova a dargliene uno succede il finimondo. Noi lo chiameremo Inventore e non è detto che non avremo guai. In ogni caso, il nostro Inventore aveva avuto tantissime idee! Aveva immaginato il cielo e subito lo aveva realizzato. L’idea del sole gli era venuta subito dopo un brivido. La terra l’aveva inventata perché non sapeva dove piantare i suoi fiori. L’acqua, poi, era necessaria: il pesce rosso boccheggiava da un pezzo! Un giorno si rese conto di non avere abbastanza problemi e inventò l’Uomo. Era ottimista e volle fargli un regalo. Inventò per lui una cosa che chiamò “fantasia” e ci mise dentro un pezzetto del suo cuore. Si sedette sulla sua comoda poltrona e osservò l’Uomo che giocava con il suo regalo. Vide un bellissimo affresco e si commosse, una fantastica statua e pensò che non avrebbe saputo fare di meglio, ascoltò delle note deliziose e dei versi dolcissimi e sognò ad occhi aperti…poi vide una spada, un fucile, sentì il fragore delle bombe e si spaventò alla vista del mostruoso carro armato. Pianse, ma poi si ricordò di essere un ottimista! Cominciò a meditare e subito gli venne un’idea: la neve! Si mise all’opera e nascose tutto quell’orrore con un morbido strato di neve. Tutto era coperto da un enorme foglio bianco dove l’Uomo, con la sua fantasia, avrebbe potuto di nuovo immaginare la bellezza e realizzarla! Era davvero ottimista l’Inventore…
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venerdì 23 marzo 2012

Il bambino dalla fisarmonica magica - parte II


Le pareti erano bianche e anche il pavimento: era piena di niente. Ebbi paura.
“Dov’era finito il ragazzino con la fisarmonica?” Non riuscivo più a sentirlo! Girai per la stanza, toccai le pareti per capire se c’erano porte nascoste o botole: niente. Non riuscivo neanche a piangere. Ero prigioniero di tutto quel niente!
Pensai “se, quando ero piccolo, avessi avuto a disposizione tutte queste belle pareti bianche non avrei esitato a riempirle con le mie idee e con i miei pensieri! Ma i miei colori e le mie matite dov’erano? Non avevo nulla!”.
Appoggiai l’indice sulla parete e immaginai di disegnare un sole sorridente, proprio come facevo quando ero piccolino…Proseguii e immaginai di disegnare la vallata che avevo attraversato col ragazzino. La rividi: verde, luminosa e ne tracciai le dolci linee sulla parete. Proseguii e disegnai le rondini e le nuvole e gli alberi e i fiori e tutto quello che vedevo nella mia mente. Passai alla parete accanto come se l’altra fosse già piena e mi fermai un attimo
 “cos’altro potrei aggiungerci?” pensai. Ero completamente immerso nelle mie fantasie, quando all’improvviso qualcosa mi sfiorò il naso: un soffione! Mi voltai verso la parete dove avevo immaginato di disegnare e…la parete non c’era più! C’era la vallata con i fiori, gli alberi, il sole, le rondini! Ad un tratto vidi anche il sentiero che attraversava la vallata. C’era qualcuno sul sentiero che mi faceva cenno di muovermi. Indovinate un po’ chi era? Sì, proprio lui, il ragazzino con la fisarmonica! Mi misi a correre e lo raggiunsi. «Cosa ci facciamo qui? Cos’è successo?» chiesi ansimante.
«Che cosa è successo?» disse lui continuando a suonare una melodia fantastica.
«Ehi! L’ho chiesto io a te. Rispondimi!»
«Seguimi!»disse per tutta risposta.
Lo seguii e giungemmo alla casa senza mattoni. Iniziai a correre e lo lasciai sul sentiero. Volevo parlare col nonno. Lui sapeva tutto! Questo era certo. Entrai in casa e lo trovai seduto in poltrona. Mi sorrise e m’invitò a sedere.
«Nonno! Mi spieghi cosa è successo? Cosa significa tutto questo?» urlai.
 «Tutto questo? » chiese lui come se niente fosse.
 «Cosa ci fai qui? Perché questa casa non ha le pareti? Perché questi bambini ti portano i mattoni? » gli chiesi. Ero molto arrabbiato con lui. Non sopportavo che fosse complice d’altri bambini e che escludesse me: era mio nonno! Si alzò dalla poltrona, si avvicinò e mi abbracciò.
Poi mi disse: «Questa casa è la tua fantasia, piccolo mio, ed io ne sono il custode. Questi bambini rappresentano le tue idee, i tuoi pensieri, le tue invenzioni. Sai perché gli faccio portare via i mattoni?»
«No» fu l’unica cosa che riuscii a dire.
«I mattoni rappresentano i margini, i confini, i limiti che il mondo costruisce intorno alla tua splendida fantasia. Questi limiti si trasformeranno in chiusure, in pensieri negativi e ti impediranno di accogliere le cose belle che la realtà vorrà offrirti…» mi disse con dolcezza.
«E il bambino con la fisarmonica magica?» chiesi.
«Ma quale fisarmonica magica? L’unica cosa di magico che possiede quel bambino è la musica! E sai perché? Perché la musica è un linguaggio universale. Questa è la sua magia!» disse, accompagnando quella frase con una gran risata!
«E’ vero, nonno! Se parla senza suonare, io non capisco cosa dice! Invece quando si accompagna con la sua bellissima fisarmonica io lo comprendo perfettamente» risposi.
«Sì, bravo piccolino!»
«Perché mi hai fatto attraversare la caverna, il precipizio, la porta chiusa e la stanza vuota?» chiesi inquieto. «Per farti capire che insieme alle cose belle arriveranno anche gli ostacoli e difficoltà, ma tu potrai superarli con la tua intelligenza e la tua immaginazione. Non hai bisogno di strumenti magici: la mente è il tuo strumento. Dentro di te c’è tutto ciò di cui avrai bisogno!» rispose sorridendo e carezzandomi i capelli.
«Ora torniamo a casa, nonno?»
«Ah ah ah! Hai ragione. Tra un po’ riparte la funicolare! Dobbiamo proprio muoverci!»

Dopo tanti anni il nonno si trasferì nella casa senza pareti. Ogni volta che voglio vado a trovarlo e lui mi accoglie sempre sorridente…
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Il bambino dalla fisarmonica magica - parte I

Tanti anni fa, quando ero ancora un bambino, il mio caro nonno mi portava in funicolare tutte le mattine. Un bel giorno salì un ragazzino con una vecchissima giacca verde. Sulle spalle portava una fisarmonica rossa. I fantastici simboli dorati incisi sullo strumento mi fecero subito pensare che fosse magico.
Appena la funicolare partì, il ragazzino cominciò a suonare: le note erano dolcissime, ma quando volavano via lasciavano il cuore triste. Man mano che il bambino suonava mi accorgevo che la sua melodia era come una bacchetta magica che faceva sparire le pareti del vagone, i sedili, le persone. Anche il nonno era sparito! Mi ritrovai in una bellissima vallata attraversata da un sinuoso sentiero dove, camminando, il bambino continuava a suonare la sua prodigiosa fisarmonica, sicuro che lo seguissi. Camminai e ben presto mi ritrovai davanti ad una casa. C’era il tetto di tegole rosse, le finestre e le porte di legno verde, c’erano i pavimenti e i mobili, ma non c’erano le mura! "Che strano!" pensai.
Quando arrivammo, il bambino mi fece cenno di bussare. Bussai. Il portone si aprì e…
«Nonno!» esclamai.
 Mi abbracciò con un bellissimo sorriso, mi afferrò la mano e mi condusse nella casa senza mura. Il bambino ci seguiva suonando una splendida melodia.
«Cosa ci fai qui, nonno? » gli chiesi.
«Come cosa ci faccio? Non si vede? » rispose lui.
«Ehm…veramente no.»
«Sta’ attento!» borbottò e andò a sedersi su una grandissima sedia. Arrivarono altri bambini e saltellando gli mostrarono dei mattoni.
«Guarda! Ne abbiamo presi altri!»
«Bravissimi! Andate in cucina dopo aver fatto quello che sapete…» disse ammiccando.
 Mi avvicinai alla sedia e chiesi che senso avesse tutta quella faccenda. Lui continuò a borbottare qualcosa che io non capii.
 Il bambino con la fisarmonica mi fece cenno di seguirlo. Camminammo a lungo. Stavolta la melodia che usciva dalla fisarmonica era un po’ più triste. Arrivammo ad una caverna, entrando vidi che da lì cominciava una scala di pietra che scendeva nel sottosuolo. Scendemmo, mentre il bambino continuava a suonare. Improvvisamente la scala s’interruppe e ci trovammo di fronte ad un precipizio. Dall’altra parte del precipizio c’era una porta. Il bambino, continuando a suonare, mise un piede nel vuoto e camminò come se stesse camminando su una superficie invisibile. Tranquillamente mi fece cenno di seguirlo.
«Ehi! Ma come faccio? Torna subito qui!»
 Indietro non si poteva tornare. Tutto il percorso che avevamo fatto fino a quel momento, era come fissato in una fotografia e non poteva essere più ripetuto. Si poteva solo andare avanti, ma c’era il vuoto e poi la porta.
«Che cosa significa tutto questo? Come faccio? Non c’è una scala!» urlai.
 Il bambino si sedette accanto alla porta e si rimise a suonare una delle sue fantastiche melodie.
«Vuoi rispondere? Come hai fatto? Aiutami a passare!»
«Io ho suonato il mio strumento. Suona il tuo e passa...» disse seccato.
«Il mio? Quale?»
«Suona e passa…»
 Tremendamente arrabbiato mi sedetti sul bordo del precipizio e cominciai a piangere. Quando la disperazione mi lasciò il tempo per respirare, cominciai a guardare il precipizio. Come sarebbe stato bello se le mie lacrime si fossero trasformate in gradini. Ne avevo versate così tante! Piano piano dal fondo del precipizio cominciarono ad emergere… dei gradini! Erano trasparenti e scintillavano!
«Cosa… cosa sta succedendo?» gridai quasi spaventato.
«Oh! Finalmente. Te l’avevo detto di suonare e passare!»
«Ma io non ho suonato!»
«Sì, lo hai fatto. Muoviti che ho fretta!»
 Poggiai i piedi sui gradini e passai. Ero passato sulle mie lacrime, ma non avevo suonato un bel niente! Ci trovammo davanti alla porta. Naturalmente era chiusa. Io guardai il mio accompagnatore e lui, suonando, mi disse:
«Le porte sono fatte per essere aperte… Suona e passa!».
 Odiavo quel bambino! Quando parlava senza suonare si esprimeva in una lingua sconosciuta, solo se si accompagnava con la fisarmonica io riuscivo a capirlo. Suonò, la porta si aprì e lui passò. Io provai a passare con lui, ma ci sbattei il naso. Dall'altro lato sentivo quella cantilena accompagnata dalla musica “suona e passa…suona e passa…suona e passa”. Cominciai a prendere a calci la porta, ma mi feci solo un gran male! Indietro non potevo tornare. Fissai la porta. I pugni e i calci non l’avevano scalfita minimamente. Cominciai a fissarla e la disperazione cresceva. La sentivo nelle mani, nei piedi: era una forza reale! Sarebbe stato bello poter prendere la mia disperazione e farla diventare materia da plasmare: avrei potuto trasformarla in una chiave. Piano piano dalle mie mani e dai miei piedi uscirono dei filamenti di ferro che davanti a me formarono proprio una chiave. L’afferrai e aprii la porta! Non potevo crederci!
«Te l’avevo detto…suona e passa» esclamò il ragazzino.
 La porta si aprì in una stanza. Vuota… (continua qui)

giovedì 22 marzo 2012

La rosa

Tanto tempo fa, quando l’eternità faceva ancora carezze alla terra, c’era una rosa rossa. Regnava da millenni in un incantevole castello di fiocchi di neve posto su un’altissima montagna. La sala del trono era immensa e la luce si posava, lieve, su ogni cosa. Il soffitto era talmente trasparente da permettere al giorno e alla notte di entrare comodamente nel palazzo. Il pavimento, poi, era di un colore così bello che era un peccato poggiarvi i piedi! C’erano, inoltre, dodici finestre per permettere ai raggi del sole di coccolare, senza barriere, i delicati petali della Regina. Di fronte alle finestre c’erano dodici specchi. Di sera la sala s’illuminava con sette lampadari di cristallo. Il trono era un tralcio di fine madreperla. Era abitudine della Regina sedere, malinconica, rimirando negli specchi l’immagine della propria solitudine. Non era felice… Senza che lei se ne accorgesse, le sue pungenti spine impedivano agli altri di avvicinarsi . Nei suoi specchi leggeva la solitudine e non la meravigliosa grazia che la circondava. Dicevamo che la Regina era persa nella sua malinconia, quando un soffio di vento spalancò una delle finestre e scaraventò nel bel mezzo della sala un fantastico giglio. Quel giglio viveva la sua vita volando sui battiti del cuore del vento. Con il suo volare inquieto non sapeva o non voleva sapere quanto male faceva a chi lo amava. Non sapeva che ogni fiore ha un profumo che dimora nella reggia del ricordo. Credeva che il profumo dei fiori durasse il tempo di un volo e così fece molto male alla rosa nonostante le sue pungenti spine. Quella sofferenza provocò in lei un profondo cambiamento: volle guardare con più attenzione nello specchio e non vide più la solitudine, ma il sole che la vezzeggiava, il castello che la proteggeva, la luce che le illuminava la vita e si accorse di voler essere felice! Quelle spine che facevano tanto male a chi si avvicinava, divennero molto più delicate. Non aveva più bisogno di armi affilate per difendersi. La sofferenza si era trasformata in consapevolezza: era questa la sua vera arma adesso. Era la Regina del suo regno e volle visitarlo tutto. I secoli e i millenni non le bastarono più. Un giorno il giglio, pieno del suo niente, ritornò al castello e non trovò la rosa ad aspettarlo. Che strano! - esclamò e andò a cercarla. La trovò e quando le se avvicinò non erano più quelle stupide spine ad infastidirlo, ma la consapevolezza che lei esprimeva con tutto il suo essere. Fuggì via. La rosa era felice e così decise di lasciare aperta la porta del castello…
Avete nel cuore un profumo degno di abitare nella reggia del ricordo?
 Sì? Cosa aspettate?
Mettetevi in cammino…
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Lo scrigno

Tanti anni fa, quando tutto era possibile, cadde uno scrigno dal cielo. Sì, sì! Proprio uno scrigno! Era bellissimo. Cadendo dal cielo, però, si era tutto ammaccato e per molti anni era rimasto in un campo coprendosi di polvere e sporcizia. Tutti quelli che passavano, vedendolo così sporco e abbandonato, pensavano che fosse una cosa di poco valore e lo lasciavano lì. Un bel giorno passò un Principe (almeno io i Principi li ho sempre immaginati così). Ad ogni modo questo Principe era alto e imponente, avvolto in un lungo mantello che probabilmente era stato azzurro, ma che adesso era diventato nero. Anche il cavallo, a dire il vero, non era bianchissimo. Più che altro era cenerino, magari era solo sporco… Il Principe era molto curioso e fu attratto da quello strano oggetto. C’è da ricordare che il nostro Principe s’interessava a tutto quello che gli altri consideravano strano o diverso e, cosa incredibile, non credeva ai Principi! Si avvicinò allo scrigno e lo raccolse: era davvero pesante. Rimontò a cavallo e partì per tornare al suo castello. Ecco, anche sul castello ci sarebbe qualcosa da dire: non dovete aspettarvi un castello serio, minaccioso o ricco e sontuoso, no! Questo era il castello del nostro Principe (che forse era un principe), con il mantello azzurro (che era diventato nero) e un cavallo bianco (che tanto bianco non era). Cercate di capirmi: era un castello un po’…stravagante, ecco! Io ci sono stata e posso assicurarvi che si stava davvero bene: si ascoltavano splendide musiche, c’erano tanti amici e ognuno di loro aveva storie sbalorditive da raccontare! Il Principe, poi, aveva bandito dal suo castello quelle scatole magiche davanti alle quali tutti s’ipnotizzavano e non riuscivano più a pensare. Gli altri castelli ne erano pieni! Finalmente dopo una lunga cavalcata, il Principe giunse a casa e, smontato da cavallo, salì nella sua stanza. Non vedeva l’ora di aprire lo scrigno e quando lo fece rimase senza fiato: dentro c’era un blocco di ghiaccio! Non chiedetemi come mai il ghiaccio non si fosse sciolto: non saprei cosa dirvi. So solo che quello era un proprio blocco di ghiaccio! Il Principe, incredulo, ripose il blocco nella sua custodia e la chiuse. Cominciò a pulire lo scrigno, a riparare le ammaccature e più lo osservava, più lo trovava bello! Forse era magico. Forse non lo era. Ad ogni modo doveva prendersene cura. Lo aprì di nuovo e... meraviglia! Il ghiaccio non c’era più! Al suo posto dormiva una bellissima bambina. E adesso? Il Principe non sapeva cosa fare! La bimba si svegliò, lo guardò e, serenamente, gli tese le manine. Lui la prese in braccio e da quel momento si prese cura di lei. La bambina venne su bene: senza scatole magiche, senza principi azzurri, cavalli bianchi o castelli sfarzosi, ma con tanti amici che facevano viaggiare la sua fantasia tra racconti incredibili e musiche fantastiche. Forse in questo momento sarà in giro per il mondo con il suo scrigno pieno di fantasia, cure e attenzioni! E il Principe? Mah! Forse vivrà per sempre felice e contento…
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Il Re, il Mago e il Bambino

C'era una volta un Re
prigioniero del suo castello
vestiva fili di ragno
sognava cavalli di stagno.
Se questo Re incontri
ti può sembrare strano!
Sorridi e parla piano,
prova a dargli la mano.

C'era una volta un Mago
che dormiva sui raggi di luna
portava mantelli di bruma
e del latte beveva la schiuma.
Se questo Mago incontri
ti può sembrare strano!
Sorridi e parla piano,
prova a dargli la mano.

Ora c'è un Bambino
che gioca con le parole
offre alle rane viole
e le stelle vuole contare.
Se il Bambino incontri
non deve sembrarti strano
che sorrida e parli piano,
che provi a darti la mano...



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